Così Edoardo Bruno nel suo libro “Film. Antologia del pensiero critico”,pubblicato da Bulzoni Editore nel 1997:
“Si può dire che le riflessioni di Andrè Bazin sul cinema in rapporto allo statuto della realtà rifondino radicalmente l’estetica cinematografica così come si era venuta configurando nel periodo anteguerra. Bazin introduce nell’approccio conoscitivo al cinema un atteggiamento ontologico che lo connette strettamente alla realtà, ma non come mera riproduzione o rappresentazione, bensì come continuità di un processo che, attraverso la possibilità di creare una realtà in divenire nel tempo (a partire dal dato reale che si ‘riprende’), arriva alle estreme conseguenze di una abolizione totale della distanza tradizionale tra la realtà e la sua rappresentazione. In ’Qu’est-ce que le cinéma?’ Bazin scrive che il cinema ‘si aggiunge alla creazione naturale invece di sostituirne un’altra. Si fonda così una ‘ontologia’ del cinema che diventa un’altra realtà’ non sostitutiva o riprodotta, ma un’altra faccia del reale che quasi ne coglie l’anima compiendo così una sorta di ‘realismo totale’ che coincide con un ideale ‘cinema totale’. Da qui la nozione baziniana di ‘messa in scena’, di profondità di campo, di piano-sequenza,
elementi di una ‘totalità’ impura (nel senso del rifiuto di un cinema come forma staccata e specificamente fondata rispetto al reale) che costituiscono le figure dello ‘stile’ che ogni autore adotta nel rapporto di continuità tra la macchina da presa e il flusso del reale. Insieme ricerca di uno statuto materialista del cinema e di una teoria ‘idealista’dell’immagine che si dispiega nella capacità fenomenologica non di rappresentare e riprodurre ma di liberare il senso nascosto, l’essenza del vero, a partire dal modo in cui ci si presenta davanti allo sguardo, dalla sua epifania, la passione critica di Bazin lo porta non tanto a una teoria sistematica quanto a una pratica della critica tutta calata nel suo tempo e proiettata verso il futuro. La sua attività di promotore del movimento dei cineclub francesi nel dopoguerra, la sua funzione di ‘padre’ della ‘nouvelle vague’, attraverso la fondazione dei ‘Cahiers du Cinéma’ e la promozione della nuova generazione di critici e cineasti (da Truffaut a Godard, da Rivette a Rohmer) lo rendono critico “totale”
e nume tutelare di ogni possibile ‘nuovo cinema’”
(nei link che seguono si ‘prendono la parola’ su Bazin Gilles Deleuze e François Truffaut)
In questo numero: Una conversazione della redazione su Twin Peaks 3 e poi Agnès Varda, Steven Spielberg, il cinema italiano del Sessantotto, Bill Morrison, Raoul Walsh e altro ancora…
Nel primo link dei magnifici materiali girati a New York, nel 1911, dalla Swedish company SF Studios e restaurati dallo storico Guy Jones. Il sonoro non è originale.
Nel link che segue ancora New York filmata nel 1930. Il sonoro è questa volta originale
Lo ricordiamo con lo scritto di Edoardo Bruno sul film “Una questione privata”, diretto dal fratello Paolo e a cui Vittorio aveva partecipato in sede di sceneggiatura.
“Un film insolito ‘Una questione privata’ di Paolo Taviani (Vittorio firma solo la sceneggiatura) ispirato al romanzo breve di Fenoglio, con la lotta partigiana vista più dalle pagine di Giovanni De Luna (La Resistenza perfetta), in un Piemonte nebbioso, attorno alla Grande Villa aristocratica, senza le asperità e le scene cruenti della guerra civile, che le davano un sapore di lotta di classe.
Taviani ha voluto fare un film anomalo, esasperando i tratti del personaggio gentile e di innamorato inquieto, che gira attorno alla guerra con un metafisico respiro, perduto, tra la nebbia e il sogno. La prima parte del film, con l’arrivo dei due amici partigiani davanti alla Casa, dà lo scatto al ricordo e alle brevi, ma intense, digressioni amorose. C’è nel film tutta una imaginerie attorno ad un vecchio e grande albero, con una scalata per i rami, che può ascriversi tra le cose migliori di un Taviani alla ricerca dell’inedito, in una guerra partigiana fredda, opaca, con le camicie nere ‘alla Pavolini’ e i colpi partigiani poco convincenti. E un richiamo imprevisto a Pierrot le fou, alla fine, con una cantata pop sulla inutilità della guerra”